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Scrivere o non scrivere?

Come se ci fosse una possibilità di scelta...


Foto di Min An - Pexels

“C’è più gente che scrive di quella che legge”. Mia mamma.


Dopo tanti anni passati a scrivere sono arrivata a una conclusione: la scrittura è una forma di dipendenza.

Da un lato non ne posso fare a meno, dall'altra mi fa stare male; ho provato a smettere e non ci sono riuscita. A ogni ricaduta mi dico: "devo conviverci", ma poi desidero di nuovo di poterne fare a meno. Solo che non ci riesco.

Questa ossessione ha origini remote: prima ancora di sapere scrivere riempivo fogli su fogli di scarabocchi, facendo finta di fissare sulla carta le storie che mi frullavano nella testa. Non pasticciavo casette con alberi, sole e nuvole. No: io scrivevo.

Quando finalmente ho imparato a scrivere le storie che inventavo sono diventate qualcosa che potevo rileggere. In classe alcune compagne avevano fondato una specie di club della scrittura: io sono stata l’unica a prendere sul serio l’iniziativa, mentre loro l’hanno abbandonata quasi subito.

Durante l’infanzia la mia passione erano i telefilm. Non amavo i cartoni animati, perché le trame mi sembravano troppo elementari. I telefilm invece erano complessi e i personaggi intriganti e interessanti. Uno dei miei telefilm preferiti era L’uomo da sei milioni di dollari. Ero così appassionata alla serie che non appena finiva un episodio impugnavo la penna e ne inventavo uno io. Era facile, perché non avevo bisogno di creare dei personaggi dal nulla; li avevo già a disposizione e non mi restava che immaginare nuovi intrecci e avvenimenti.

Presto però i personaggi di seconda mano mi sono venuti a noia. Erano stati pensati da altri ed erano piuttosto prevedibili. Durante l’adolescenza li ho rimpiazzati con personaggi inventati da me. Di solito erano uomini spietati, ma dal cuore d’oro. Oppure disgraziati da redimere. Oppure tutte e due le tipologie insieme. I personaggi femminili consistevano in una qualche versione di me stessa, quella nella quale mi sentivo più a mio agio in un periodo della vita in cui non sapevo ancora di preciso chi fossi: timida e ingenua, brillante e risoluta, povera ma con aspirazioni al successo, sola ma con un grande desiderio di relazione.

Riempivo i miei romanzi di personaggi che facevano cose improbabili, soprattutto perché amavo i colpi di scena. Mi piaceva la tipologia di personaggio: sembro una pessima persona ma in realtà sono un pezzo di pane, solo che lo sanno in pochi. E poi in quegli anni le mie storie si sono arricchite di un elemento che fino ad allora era rimasto sullo sfondo: l’erotismo. Immancabilmente i miei personaggi finivano a letto, e io mi chiedevo come mai nei romanzi che leggevo questo non capitasse con la stessa frequenza con la quale succedeva nei miei.

Per questo scrivevo romanzi erotici: i prodotti disponibili non soddisfacevano le mie aspettative.

Intorno ai vent'anni ho superato questa fase, senza però che l’erotismo venisse rimpiazzato da altro. Da qui una serie di storie costruite intorno a pochi episodi banali dai quali mi aspettavo prendesse vita una scintilla narrativa, che però non arrivava mai. Ne avrò iniziati una decina senza finirne nemmeno uno; credo che il più lungo fosse di circa 80 pagine, abbandonato per noia (e se mi sono annoiata io a scriverlo chissà il povero eventuale lettore...).

Sui trent'anni sono riuscita ad arrivare in fondo ai primi romanzi; ora so che non valevano niente, ma all'epoca mi era sembrato un gran risultato.

Poi ho avuto una specie di svolta sullo stile di Jo March, che scrive qualcosa di davvero buono solo quando racconta di ciò che conosce bene, anche se è solo la sua vita.

Non che io abbia mai scritto romanzi autobiografici, ma di colpo ho smesso con la fantasia fine a se stessa e ho provato a raccontare il tipo di storia che io avrei voluto leggere. E finalmente ho raggiunto un risultato: alla fine dei miei romanzi ero soddisfatta. Non avevo certo sfornato un capolavoro, ma ero stata onesta e avevo smesso scrivere con l’unico obiettivo di sorprendere il lettore.

Smettere di pensare in funzione di chi mi avrebbe letto (sempre che ci sarebbe stato qualcuno) è stato liberatorio, e le storie sono arrivate senza che io mi sforzassi troppo a metterle insieme. Ritengo che questo abbia rappresentato una specie di punto di arrivo, dal quale sono ripartita con la mia produzione successiva.


Adesso sono al punto in cui ho cinque romanzi terminati, dei quali due sono in attesa di sequel.

Che fine hanno fatto i cinque romanzi portati a termine, non senza fatica?

Il mio percorso verso il lettore ha seguito una serie di tappe, comuni a moltissimi altri aspiranti scrittori:

  • l’editore. Arrivare subito a un editore sarebbe stato difficile, ma lo spessore letterario dei miei romanzi avrebbe senz'altro fatto breccia nel duro cuore dell’editore più scafato. Cinque minuti dopo aver ricevuto la mia email il mio cellulare sarebbe squillato e dall'altra parte della linea qualcuno mi avrebbe fatto una delle migliori proposte mai presentate a un esordiente. Anzi, la storia era così bella che nel giro di una settimana c’era già l’idea per un film. Un romanzo con questa trama sarebbe finito nel cestino senza possibilità di appello, e infatti è inutile dire che questo scenario sopravvive solo nella mia fantasia

  • il self-publishing. Ero partita con il dire: “Non avrò mai bisogno di ricorrere al self-publishing”. Dopo i sei mesi canonici di attesa che qualcuno degli editori a cui mi ero rivolta si facesse vivo, i miei romanzi erano già su Amazon e Smashword a un prezzo così stracciato da essere vergognoso. Presto però sarebbero rivelati un caso letterario e io sarei stata definita la prima Amanda Hocking italiana; a quel punto avrei alzato il prezzo e sarei diventata ricca e famosa. Gli editori avrebbero fatto a gara per aggiudicarsi i miei romanzi, e io li avrei tenuti sulla corda assaporando la vendetta. Dopo qualche settimana di vendite a zero ho iniziato a spacciare gratuitamente i miei romanzi in rete, ma neanche così sono riuscita a suscitare un vago interesse nei lettori.

  • Wattpad. Poteva sembrare una buona soluzione. Il percorso verso il successo - e verso un editore pentito - era lo stesso del self-publishing. Dovevo solo perseverare e aspettare che i lettori arrivassero. Anche in questo caso non ci sono stati risultati di rilievo

  • Il Mio Libro. Merita una premessa: ci sono arrivata tardi perché non riuscivo a prendere in considerazione l’idea che per pubblicare dovessi pagare qualcosa, anche soltanto l’equivalente del prezzo di una copia del mio romanzo. Pensa e ripensa gli anni passano, finché nel 2017 ho preso la decisione di tentare. Ho superato le mie remore e mi sono iscritta al concorso Il Mio Esordio con l’ultimo dei miei romanzi, arrivando finalista. Tutto qui. A titolo di consolazione devo dire che i le recensioni, i commenti e i voti sono stati lusinghieri, ma alla fine del concorso è stato come se non ne avessi mai preso parte.

  • le agenzie letterarie. Dopo averle sottovalutate, a un certo punto sono arrivata alla conclusione che dopo aver tentato praticamente tutto, non mi restavano che loro. La mie diffidenza nasceva dal fatto che pressoché tutte vendono servizi di valutazione e editing, e solo in modo marginale offrono la lettura gratuita dei manoscritti. Si tratta di essere il dito più veloce della penisola e premere il fatidico tasto invio non appena scatta l’ora in cui - una volta al mese - si riapre la possibilità che una manciata di manoscritti possa venire ammessa alla lettura senza il pagamento di una tariffa, che di solito è piuttosto salata. E niente, io sono invariabilmente troppo lenta; ho indugiato quei due secondi di troppo e il giorno dopo mi è arrivato un messaggio che suona come: "riprova e sarai più fortunata".


A questo punto il mio bilancio è piuttosto negativo.

Chi fa da sé - sempre che ne abbia le competenze tecniche - deve investire in tempo e denaro. I romanzi auto-prodotti vanno promossi, anche sfruttando i propri contatti in rete. Chi, come me, non è popolare nei social non ha molti altri canali da sfruttare. La strada del self-publishing è di grande autonomia, ma anche di grande solitudine; a questo va aggiunta la pessima fama di chi insiste per volere propinare il proprio romanzo a tutti i costi a lettori che proprio non ne vogliono sapere. Come minimo è una persona vanitosa e supponente, ma ho letto anche di critiche del tipo: "chi si affida al self-publishing non ha il coraggio di ricevere un NO da un editore". Secondo la mia esperienza, invece, chi si affida al self-publishing non si arrende a quel NO.

Questo mi porta alla rappresentazione che spesso gli altri hanno degli aspiranti lettori. Nella migliore delle ipotesi siamo degli illusi: in pochi ce la fanno e bisogna avere delle conoscenze, oppure essere molto popolari sul web; se non abbiamo un editore è perché non abbiamo nemmeno un capitale social da spendere che compensi la scarsa qualità del romanzo se non abbiamo pubblicato è perché ciò che scriviamo non è abbastanza buono. Però in fondo forse ciò che scriviamo potrebbe valere qualcosa, ma se non lo sappiamo proporre è come se non valesse niente; quindi siamo degli incapaci dal punto di vista del marketing (perché in fondo i libri non sono che un prodotto come un altro...)

Tra aspiranti lettori spesso ci si guarda in cagnesco e si passa ore a valutare quale strada tentare, perché quell'altro l’ha fatto e chissà che non sia quella giusta. Molte strade sono a pagamento: basti pensare alle agenzie letterarie o alle case editrici che pubblicano dietro compenso. D’altra parte quello dell’aspirante scrittore è un mercato interessante: se non si vendono libri perché non c’è chi legge, si possono vendere servizi a chi scrive. Si parla molto di queste pratiche; io non mi sono mai rivolta né alle agenzie (per acquistarne i servizi), né agli editori a pagamento, ma non me la sento di criticare chi lo fa.

Il punto è che essere aspiranti scrittori non è facile: è una frustrazione continuasi può anche avere l’autostima a valori stellari, ma dopo qualche anno anche la persona più sicura di sé inizia ad avere qualche dubbio sulle proprie doti letterarie i consigli (di cui internet straripa) non aiutano. I siti dedicati agli aspiranti scrittori sono pieni di suggerimenti di cosa fare e degli errori da non commettere, ma anche seguendo i consigli ed evitando gli errori non si ottengono risultati i consigli sono tantissimi, ma nessuno sembra quello giusto, quello che di colpo apre tutte le porte. Qualcosa di magico, insomma…sulla rete tutti sembrano in perenne e cruenta competizione, come spesso accade negli ambiti in cui gli aspiranti sono tanti ma i posti sono pochi a volte anche chi alla fine ha pubblicato (soprattutto se con un piccolo editore) è deluso, perché la pubblicazione è più un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo, ma anche perché quando si sogna di pubblicare ci si immagina di venire catapultati di colpo ad alti livelli del mercato editoriale, mentre la fama e il successo sono obiettivi alla portata di pochi.

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